Cosa hanno in comune due albi, uno datato 1968, inglese, e l’altro più recente, di prima pubblicazione in America nel 2013?
I grandi felini arancioni, eleganti nelle loro strisce nere, sicuramente. Animali affascinanti che fanno a entrambi da protagonisti. E sono personaggi che, a dispetto della loro natura comunemente considerata feroce, sono tra queste pagine gentili, indubbiamente non inclini a far paura ai bambini.
Ma ho avveduto un’altra nota comune alle due storie: in entrambe in un certo senso si racconta di accoglienza, che in un caso è verso l’altro e nel secondo verso sé, e va a braccetto con l’accettazione e la riscoperta della propria natura. Accogliere e accettare è un modo per essere liberi, liberi di essere se stessi e di vivere in armonia con gli altri.
Quando Sophie e la mamma si siedono al tavolo per la loro merenda a base di the e pasticcini non si aspettano certo l’inconsueto ospite che sta per suonare alla porta. Non è il lattaio né tantomeno il fattorino ma è…una grossa tigre sorridente. Fuggire? Gridare? Neppure per idea! Alla tigre viene offerto un posto a tavola e si dividono con lei le squisitezze del pomeriggio.
Beh, dividere per modo di dire perché il felino, in virtù di stazza e natura, divora proprio tutte le vivande. E beve tutto il the, tutto il latte, fa fuori le cibarie della dispensa e perfino l’acqua della vasca dove Sophie avrebbe dovuto fare il bagno. Quando se ne va, educata e gentile come era arrivata – e sempre, sempre sorridente – il problema che resta non è da poco: la tigre ha mangiato tutto, come farà ora la famiglia per la cena?
Ma un papà bonario e sereno ha la soluzione, che non solo risolverà la questione ma sarà anche piacevole e divertente. E il giorno dopo tutti a far la spesa, per rifornire il frigorifero ma anche per acquistare…un gran barattolo di cibo per tigri, casomai l’amica tornasse. Quale supermercato non lo vende?
Un albo delizioso che si legge col sorriso. Sorriso che si specchia in quello dei personaggi perché su queste pagine prendono vita serenità e letizia, calore e generosità. Oltre la storie parlano le illustrazioni che fin dalle prime tavole sottolineano un rapporto di gioco, affetto, complicità tra la tigre e la bambina, ma anche un clima di vicinanza e comprensione all’interno della famiglia.
L’animale mangia con ingordigia tutto il cibo (ma d’altra parte è nella sua natura) ma ricambia con atteggiamenti lieti e garbati. E’ educata , ha un muso gentile, non incute paura – fa perfino da cavalluccio a Sophie – e, in fondo, con la sua inusuale apparizione, rallegra il pomeriggio di mamma e figlia.
Un albo questo che non va non troppo analizzato e interpretato, meglio goderne semplicemente perché ha il grande pregio di predisporre il lettore al buonumore, lasciandolo sospeso tra dimensione reale e fantastica, sfogliando pagine che hanno il garbo del bon ton inglese e la candida spontaneità immaginifica dell’infanzia.
Più carattere di parabola ha invece il secondo libro, “Il signor tigre si scatena” di Peter Brown. Qui la tigre – anzi: il Signor Tigre – veste addirittura cilindro e papillon su un abito impeccabile. Si accompagna ad altri animali ben agghindati, che si muovono su due zampe, e tutti i dialoghi tra essi sono formali ed educati.
Ma il Signor Tigre è stufo di tutta questa affettazione. Di posatezza, compostezza e austerità. Ha nostalgia di un qualcosa che è stato ricacciato molto in fondo al suo io: la selvatichezza.
E così un bel giorno si mette a quattro zampe, con tutto l’abito elegante indosso. E comincia a camminare, camminare. Poi a correre, saltare, perfino ruggire.
Dopo si sveste, torna alla sua bella pelliccia arancio a strisce ed è sempre più selvaggio e libero. Fin quando non arriva nella giungla. Lì tra il verde e gli alberi può davvero scatenarsi senza limiti, tornare all’essenza della sua natura ferina.
Però, dopo un poco, sente la mancanza della sua casa, della sua città, dei suoi amici. Perché è giusto essere selvatici se si è nati animali ma è normale anche avvertire la nostalgia della vita che si è vissuta fino a quel momento, alla quale si è abituati. Si è un po’ questo e un po’ quello, senza che una natura debba scalzare l’altra, annullarla, vietarla.
Così il Signor Tigre torna a casa e…sorpresa! Anche in città, come dentro sé, qualcosa è cambiato: tutti gli animali, prima posati e impettiti, corrono allegri a quattro zampe.
Finalmente il nostro protagonista può essere liberamente sé, senza avvertire pressioni o giudizi. Può vestire il suo completo o balzare con la pelliccia al vento, passare dalla giungla alla città, condividere le sue scorribande con gli amici.
Un albo dal messaggio piuttosto esplicito ma affatto banale né reso in maniera didascalica ma, anzi, fresca. Essere costretti in un ruolo, non avere la possibilità di ascoltarsi e di viversi per ciò che si è genera tristezza e infelicità. Come anche può essere necessario, per scoprirsi, arrivare fino in fondo ai lati meno domestici della propria anima. Per poi riemergerne e mediare. E, soprattutto, cambiare il proprio atteggiamento influenza quello altrui: se si comincia per primi a liberarsi da schemi e imposizioni piano piano anche il mondo intorno cambia, con la soddisfazione di tutti (come raccontava anche un altro splendido albo: La città dei lupi blù).
Interessanti e originali anche le illustrazioni di Peter Brown. Tratti netti e vagamente geometrici, puliti, eleganti e moderni, come anche i colori, pochi e armoniosi, utilizzati. A stemperare il rigore per non lasciarlo cadere nella freddezza, una verve allegra che anima le scene e le vivacizza, conferendo loro dinamismo. Sapiente anche la composizione delle tavole, componente essenziale per il ritmo di questo picture book. A sequenze di immagini di tipo cinematografico si alternano grandi doppie tavole a segnare i momenti di svolta della storia, guidando e amplificando le emozione del lettore.
(età consigliata per entrambi: da quattro anni)
“Una tigre all’ora del tè” di Judith Kerr, Mondadori, 2016, 32 pag., 15 euro
“Il Signor Tigre si scatena” di Peter Brown, Il Castoro, 2017, 48 pag., 14 euro
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