Ada Byron, nota anche come Ada Lovelace, figlia del poeta Lord George Byron, è considerata la prima programmatrice della storia. Matematica della prima metà dell’Ottocento, in piena rivoluzione industriale, lavorò con Charles Babbage che inventò un macchinario a vapore precursore dei calcolatori elettronici e quindi dei computer.
Ada fu una bambina e poi una donna curiosa, intelligente, piena di inventiva, che rifiutava i limiti culturali imposti alle donne a quell’epoca. Le donne infatti non venivano considerate capaci di pensiero scientifico originale, potevano interessarsi di scienze ma dovevano limitarsi a studiarle o a divulgarle, senza sperare di poter apportare a esse contributi innovativi.
Simona Poidomani, scrittrice e giornalista, ha pubblicato un libro sulla figura di Ada, dal titolo “Numeri e poesia”, edito dalla casa editrice Editoriale Scienza nella collana “Donne nella scienza”.
Le ho rivolto alcune domande per approfondire la sua opera.
- Cosa ti ha spinto a scegliere il personaggio di Ada Byron per il tuo libro? Quali sono gli aspetti che più ritieni interessanti – e interessanti per i ragazzi e le ragazze – della vita e della storia di questa donna di scienze? Quali sono stati i suoi contributi al progresso scientifico?
Ci sono diversi aspetti interessanti nella storia di Ada. Ha scritto un algoritmo per una macchina che ancora non esisteva: la macchina analitica progettata da Charles Babbage. La prima macchina che, pensata soltanto per eseguire operazioni con i numeri, poteva anche essere programmata, quindi svolgere compiti diversi con istruzioni diverse. Ada poi comprende bene la possibilità della macchina analitica di operare a livello più astratto: una possibilità che fra l’altro molti, in quel periodo in Inghilterra, facevano fatica a riconoscere alla matematica. Anche se a lungo il lavoro di Ada Lovelace e Charles Babbage sembra essere stato dimenticato, rispunta con potenza decuplicata esattamente un secolo dopo. Alan Turing conosceva il lavoro di Ada Lovelace e Charles Babbage. Anche Howard Aiken lo conosceva.
- Hai intitolato il tuo libro “Numeri e poesia”. Per i numeri ci siamo, la poesia invece è solo riferita al fatto che Ada fu figlia di un celebre poeta romantico, oppure c’è un significato più profondo che mette in relazione la poesia con i numeri?
Il titolo Numeri e Poesia lo ha scelto Helene Stavro, la fondatrice di Editoriale Scienza. Ma non c’è voluto molto a convincermi: Ada scriveva molto e molto bene. La sua scrittura è caratterizzata dall’urgenza e da una scelta ricercata delle parole. Spesso più che descrivere evoca e rappresenta. Ma c’è altro: la forte necessità di definire la capacità di produrre pensiero originale – in un momento storico, e in un paese, in cui si discute molto della possibilità, per una donna, di farlo, con conclusione negativa – la porta a elaborare una visione di sé come laboratorio per studiare gli effetti del pensiero innovativo sul corpo di una donna, per mettere alla prova la teoria dominante secondo cui era proprio il corpo di una donna a non consentire lo sforzo necessario alla produzione di pensiero scientifico. Ecco allora che Ada unisce il pensiero astratto con la riflessione sul sé. L’alternativa al pensiero originale, questo sì concesso alle donne, è quello meccanico, ripetitivo, quello dei calcoli elementari che Babbage vuole affidare alle macchine che progetta, e di cui Ada si occupa ma per programmarle, per governarle. Ada sceglie di occuparsi delle macchine su cui sposta il pensiero dominante: non sono in grado di produrre pensiero originale.
Ma per tornare alla poesia, Ada ha incarnato il pensiero astratto e l’osservazione delle sue conseguenze su di sé la avvicina al pensiero poetico, un’altra strada che le era stata preclusa. Insomma, Ada riesce a superare i due principali ostacoli che la società da una parte e la madre dall’altro le avevano imposto: quello del pensiero scientifico originale, e il non seguire le orme del padre, il poeta Lord Byron.
Per questo la sua potrebbe essere una storia interessante per ragazze e ragazzi: se la società in cui ti trovi a vivere non ha un ruolo pronto per quello che vuoi essere, o rinunci oppure trovi con fatica strade sempre interessanti, in gioco c’è la risposta alla domanda: ‘come mi rappresento?’ . Una risposta che non è a portata di mano e in cui lei concentra le questioni cruciali del momento in cui vive.

A panel from “The Thrilling Adventures of Lovelace and Babbage” graphic novel
- Tu sei laureata in matematica. A volte ho l’idea che la matematica sia una scienza sottovalutata. Mi pare infatti che, ai più – soprattutto a chi non la bazzica per lavoro o per passione – appaia come qualcosa di arido, noioso e non come una chiave per capire e per speculare sulla realtà, a volte perfino per andare oltre la realtà, per astrarre. Concordi con questa sensazione? In generale, come invoglieresti ragazze e ragazzi ad appassionarsi alla matematica? E cosa suggeriresti agli insegnanti della materia per farla amare?
La matematica è tutt’altro che arida. E non viene neanche più tanto sottovalutata. Non capita più per esempio di sentire un intellettuale, come era normale accadesse in Italia fino agli anni Ottanta, vantarsi del non capire nulla di matematica. La matematica però è difficile, nel senso che è impossibile fare finta di. Ecco, per usare un linguaggio attuale, non sono ammessi fatti alternativi.
Consigli? Una cosa importante è incoraggiare in chi si avvicina alla matematica la ricerca di soluzioni alternative, originali. Non c’è un unico modo di risolvere un problema o di dimostrare un teorema all’interno del sistema di regole che ci si è dati. C’è poi un altro elemento, anche se forse è più personale, è solo una cosa di cui io ho sentito la mancanza da studente: una proiezione storica della matematica, la presentazione di concetti che attraversano diverse teorie e la storia. Penso per esempio a quello di spazio o misura.
- Il tuo libro è inserito nella collana “Donne nella scienza” della casa editrice Editoriale Scienza, una collana appunto che raggruppa storie di donne che si sono distinte nelle materie scientifiche e hanno dato allo sviluppo di esse un forte contributo (Margherita Hack, Marie Curie, Diane Fossey….). Qual è, a tuo parere, il senso di una scelta così precisa? E’ importante raccontare a ragazzi e ragazze storie di donne importanti per la scienza e perché? Quando parliamo di educazione di bambini e bambine, per come è impostata oggi culturalmente la società, può passare ancora il messaggio che la scienza sia “un affare per maschi”?
L’idea della collana era stata di Simona Cerrato che si era accorta, andando a guardare la storia di diverse scienziate, che la loro scelta era maturata, e con grande forza, presto: prima dell’adolescenza molte di loro avevano già chiaro di volere diventare scienziate. L’idea è stata presentare modelli di vita desiderabili a ragazze di questa età.

Ada Byron ritratta a 17 anni
Le testimonianze di librai come Filomena Grimaldi della libreria Controvento di Telese Terme, che proprio in questo periodo raccontano della resistenza di diversi adulti ad acquistare libri di scienza per le bambine, spiegano bene – forse più dell’ipotesi sulla difficoltà di accudire una famiglia mentre si è impegnate nella carriera scientifica – l’origine culturale della maggior presenza nelle università e nei centri di ricerca di scienziati uomini . E’ da piccole che si comincia a dare forma alle proprie ambizioni.
- Il tuo libro è scritto in prima persona, quindi tu, nello scriverlo, ti sei immedesimata nella protagonista. Hai dovuto immaginarne il carattere, le emozioni, oltre a studiare la sua storia. Come “funziona” un processo del genere per una scrittrice? Come si riesce a calarsi nella mente e nel cuore di un personaggio diverso da sé esistito due secoli fa? Come hai ricostruito la figura di Ada?
Ho usato molto i suoi scritti e lavorato sul periodo in cui è vissuta. Sulle persone che ha frequentato e che popolavano il suo mondo. Fra tutti, ho scelto gli scienziati che in quel momento in Inghilterra stavano cambiando la geologia, la biologia, la stessa matematica. Ho scelto questo taglio, ma avrei potuto pensare ad altro, per esempio agli scienziati in esilio dall’Italia in quel momento a Londra e ai loro contatti con gli scienziati del paese che li ospitava, e raccontare un’altra storia. Voglio dire che c’è una parte rigorosa del processo a cui si aggiungono scelte arbitrarie inevitabili. Ma sono le regole del gioco: non sono una storica, posso permettermi di fare scelte personali, perché il patto che vien proposto è quello delle favole: facciamo che io sono Ada, e che tu mi credi. Quello che rende possibile scrivere in prima persona più che l’immedesimazione è una specie di convivenza, una relazione che si manifesta ogni volta ci si occupa a lungo di una persona. O di un personaggio.
(QUI per sapere di più su Ada Lovelace Byron)
Consiglio il libro da 11 anni in su
“Numeri e poesia Storia e storie di Ada Byron” di Simona Poidomani, Editoriale Scienza, 2009, 96 pag., 12 euro
Se il libro ti piace, compralo QUI: Numeri e poesia. Storia e storie di Ada Byron
Metto subito il titolo nei libri da comprare. Grazie per questa chicca
ci lamentiamo oggi della situazione femminile… e se fossimo vissute un paio di secoli fa? Per questo donne del genere sono ancora più importanti.